La superficie regionale a cereali e proteoleaginose è pari a circa 130.000 ettari con un'accentuata incidenza del mais, che copre il 70% del totale, la produzione è rivolta sia al mercato, sia all'attività zootecnica aziendale in quanto fonte primaria di foraggio.

Queste coltivazioni si attuano in forma diffusa nella pianura friulana, in particolare nella bassa pianura e contribuiscono per il 30 % circa del valore della produzione agricola regionale.

La presenza di impianti di stoccaggio e prima lavorazione risulta radicata e diffusa sul territorio: sono presenti in regione una dozzina di essiccatoi cooperativi, la rete del Consorzio agrario ed altri operatori agroindustriali.
La diffusione massiccia di tali coltivazioni è dovuta, oltre che alla notevole vocazionalità territoriale, al sostegno garantito dal primo pilastro della PAC. Negli ultimi anni, il disaccoppiamento dei premi, l'evoluzione dei prezzi di mercato, anche a seguito di accordi commerciali internazionali, hanno determinato l'interesse dei produttori per altri utilizzi delle superfici dati gli insufficienti redditi aziendali, come risultato di bassi margini per unità di superficie e della ridotta dimensione media dell'azienda. Sussistono, inoltre, alcuni problemi di sanità vegetale, nella qualità sanitaria e una forte pressione sulle risorse, tutti fattori che portano a ritenere necessaria una riduzione degli attuali livelli di produzione (superfici e/o produttività), in particolare per il mais.

Il mantenimento di queste colture ha ragione nella presenza di alcuni indubbi punti di forza, quali: l'elevata vocazionalità della pianura friulana, la buona disponibilità irrigua, la presenza di strutture di prima lavorazione, cooperative e consortili. In ottica di sviluppo, pesano i punti di debolezza, in particolare la polverizzazione aziendale, la produzione indifferenziata, non riconoscibile per categorie qualitative, la forte diffusione della monosuccessione di mais e l'utilizzo di elevate dosi di fertilizzanti. Nella filiera vanno rilevate le carenze strutturali dei centri di stoccaggio e di essiccazione e il loro scarso coordinamento, nonché la carenza di impianti per la trasformazione, specialmente con destinazione ad uso umano, e, più in generale, la scarsa integrazione con l'industria locale di seconda trasformazione. In questa situazione assumono rilievo le minacce costituite dalla forte competitività mondiale con contrazione dei prezzi, dalla diminuzione della domanda locale, in particolare per la riduzione dell'uso zootecnico, dalla possibile diffusione di tossine vegetali e litofagi, nonché dall'eventuale presenza degli OGM.

Non mancano però anche opportunità interne alla filiera cerealicola, basate sulla flessibilità nell'uso dei suoi prodotti e dei suoli. Nella prima direzione va una più forte integrazione - orientata alla qualità - con gli altri settori della produzione primaria regionale (latte, carne) e con i settori correlati (industria panificatoria e biscottiera); nella seconda, la diversificazione con la produzione di agrienergie o la destinazione ad altri usi industriali.

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