In regione sono presenti circa 300 aziende di produzione con il metodo biologico, concentrate prevalentemente nell'area collinare e dell'alta pianura friulana. La produzione si realizza su circa 2.800 ettari e le colture prevalenti sono le cerealicole (35%), le foraggiere zootecniche (21%), le viticole (11%) e le frutticole (11%).

Dopo la forte espansione fino ai primi anni 2000, si è assistito ad un rallentamento ed attualmente la situazione è sostanzialmente stabile. Il mancato sviluppo può essere legato alla scarsa redditività dovuta agli alti costi di produzione e alla difficoltà del mercato di assorbire le produzioni ad un prezzo che remuneri adeguatamente le risorse impiegate (ridotta disponibilità economica delle famiglie in questa fase congiunturale), nonché a fattori di incertezza, quali le prospettive del biologico in coesistenza con le produzioni OGM.

Il settore biologico regionale è caratterizzato da un ridotto numero di aziende di modeste dimensioni medie, attive in diversi comparti e, pertanto, con poca incidenza sul mercato dei singoli prodotti. La ricchezza del paniere produttivo a livello di singola impresa permette l'apertura  di punti vendita aziendali, ma rende più difficile la relazione con i trasformatori  (cantine, forni artigianali) e i negozi specializzati. Questi operatori, in forma parziale, e la GDO e le imprese di ristorazione collettiva (domanda sostenuta dalla legge regionale sulle mense biologiche), per la quasi totalità, utilizzano prodotti provenienti da fuori regione (ma anche da Paesi extra-UE), sia per l'insufficienza dell'offerta locale, sia per la maggior capacità di altri sistemi di concentrazione dei prodotti e di garanzia di fornitura nel corso dell'anno.

La produzione biologica regionale ha, quindi, ottime opportunità, ma non è attualmente in grado di coglierle a meno che non integri il modello attuale, piccolo, isolato e a vendita diretta, con una rete produttiva, di trasformazione e commerciale, che scambia prodotti e servizi, capace di dialogare con la domanda organizzata, di sviluppare i nuovi canali commerciali alternativi (gruppi d'acquisto, consegne a domicilio, ecc.) e di entrare in sinergia con il settore agrituristico e con le fattorie didattiche. Un esempio in questa direzione viene dalle vicine aziende carinziane e slovene con le quali si è avviata un'interessante collaborazione transfrontaliera.

Va però rilevato che i maggiori oneri per il controllo, la certificazione e per la gestione documentale (che si associano ai maggiori costi per la riconversione e l'ammodernamento di impianti e strutture, nonché alle minori rese unitarie rispetto alle produzioni convenzionali), costituiscono un ostacolo alla crescita delle produzioni certificate. Dovrebbe, pertanto, emergere l'interesse pubblico per lo sviluppo di un metodo di produzione a ridottissimo impatto ambientale ed utile per salvaguardare le risorse, la biodiversità e il paesaggio rurale, anche considerando le prospettive di mercato e la presenza e l'interesse da parte dei giovani imprenditori.

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